Opere di Paolo Sighinolfi e Federico Fruggeri
SIGHINOLFI:
SEMPLICITA’ E CANTO
Nel levigato,
affettuoso intreccio fra classico e moderno la scultura di Paolo Sighinolfi si
pone all’attenzione del visitatore come semplicità e canto. Le note dello
“spartito” sono quelle che le forme di donne, bambini, animali promanano dal
loro pacato naturalismo (che mai cede alle lusinghe dell’astrazione).
E’ “un controllato eclettismo” (Solmi), frutto
di un lungo lavoro, ma soprattutto di uno studio attento di quei maestri
silenziosi e tenaci delle formelle medioevali che ha avuto davanti agli occhi
prima nella sua infanzia a Nonantola (dove è nato nel 1943) poi a Modena dove
ha compiuto i suoi studi all’Istituto d’Arte “Venturi”.
Possiamo
distinguere in due periodi la produzione del nonantolano. Il primo, subito dopo
il diploma (1962), in cui prevale uno spirito dolorosamente epico ma non
retorico né enfatico; il grande monolite del “memorial Santa Giulia” a Monchio
e le altre sculture per la Resistenza. Il secondo, ancora in atto, che perde in
“solennità” ma si carica di poesia.
Lavorando con
antica sapienza terracotta, bronzo, legno e pietra Sighinolfi trascura il
dettaglio minuto; più che “proporre”,
egli “suggerisce”, lascia che siamo noi a “leggere” le sue opere stabilendo un
rapporto mentale.
FRUGGERI,
TALENTO ECLETTICO
Buona l’idea di
accostare nella stessa mostra, le sculture di Sighinolfi e gli acquerelli di
Federico Fruggeri. Che cos’è che dà unità ideale, ma non stilistica, alla
rassegna vignolese? Intanto il grande talento che lega entrambi. Poi il fatto
che non tentano di rendersi “popolari”, anche perché (ha scritto Wilde) “è il
pubblico che deve cercare di diventare artistico”.
Il concetto
risulterebbe più chiaro se, anziché acquerelli, il settantanovenne artista
castelfranchese avesse proposto i suoi oli di ispirazione
fantastico-metafisica; ma ci sarebbe stato il rischio di spaesamento.
Con la sua
tecnica “tachiste” (cioè a macchie di colore giustapposte) Fruggeri, anche lui
allievo del “Venturi” e dell’Accademia di Bologna e poi insegnante alle
secondarie di Stato, si avventura in un territorio rischioso: c’è il pericolo
che le macchie restino tali, estranee cioè alla figurazione. Lui ne esce da par
suo, cioè alla grande.
Un’altra qualità
che i due hanno in comune è l’eclettismo; ma, mentre Sighinolfi si limita a
praticare la scultura nelle sue varie forme, Fruggeri spazia nei campi più
disparati: per esempio dal disegno architettonico al restauro.
L’attività che
però lo assorbe di più, è ora la cura di sette nipotini che lo adorano.
(testi
di Ferruccio Veronesi, per 40 anni critico d’arte del “Resto del Carlino”)